Politica e comunicazione – Articolo

Il rapporto tra politica e comunicazione – Una premessa

Molti anni fa un grande comunicatore – probabilmente il più grande che sia mai esistito – auspicò un avvicinamento tra politica e comunicazioneÈ ora che i comunicatori da una parte e gli uomini di politica dall’altra comprendano che quello che ormai è divenuto il linguaggio specifico delle merci ha la maturità necessaria e tutte le potenzialità per diventare un linguaggio intorno agli ideali politici, sosteneva. Non era solo un invito, ma l’esortazione di un genio che molte volte aveva dimostrato di vedere oltre l’orizzonte degli altri. I comunicatori devono assumersi questa responsabilità per gli anni a venire, diceva, perché gli ideali politici sono troppo importanti per lasciare che siano altre persone a occuparsene. Ma anche i politici devono capire in fretta che sarà con questo linguaggio, che si dovranno misurare, da qui in poi. Realizzò una delle più rilevanti e importanti campagne elettorali nella storia della comunicazione contemporanea, per il democratico Lyndon Johnson e si dice che Kennedy si stesse avvicinando a lui, se non fosse stato assassinato.

Politica e comunicazione: la campagna per Lyndon Johnson, eravamo nei primi anni Sessanta.


politca E comunicazione: IDIOSINCRASIE VS REALTÀ

In generale però, nonostante in più aree del mondo il linguaggio specifico della comunicazione pubblicitaria abbia compiuto moltissimi passi al fianco di cause politiche e umanitarie – se vi è sfuggito, un film interessantissimo su questo tema è «No. I giorni dell’arcobaleno» dedicato all’agenzia di pubblicità che contribuì a far insperatamente vincere la causa democratica contro la dittatura di Pinochet in Chile – i cittadini comuni e la politica in generale non hanno mai compreso del tutto il rapporto tra linguaggio specifico della comunicazione e politica. E tra essi quelli che lo hanno guardato con più sospetto sono sempre stati i referenti che si riconoscono nella sinistra, perché per forma mentis non riescono, nonostante le innumerevoli evidenze, a non vedere nel linguaggio pubblicitario solamente un mero strumento del Capitale. Va detto che sarebbe estremamente utile ragionare sulla posizione «istintiva» della sinistra democratica nel mondo contemporaneo, che da un lato intende tutelare i lavoratori delle imprese e dall’altro pretenderebbe che le imprese non facessero ricorso al linguaggio pubblicitario (cosa che, nel sistema che abbiamo creato, può significare solamente: suicidio lavorativo e conseguentemente nessuna tutela per nessun lavoratore). Ma questo tema esula dall’argomento che stiamo trattando.

Politica e comunicazione: un momento embematico del film «No. I giorni dell’arcobaleno».


UNA PROFEZIA AVVERATA?

Nel frattempo però, mentre le sinistre di tutto il mondo si sono messe a rincorrere in clamoroso ritardo, goffamente, e non senza qualche imbarazzo, i comunicatori pubblicitari – ricordiamo che la campagna – perdente – della Clinton è stata affidata a Droga5, una delle più intelligenti e influenti agenzie di pubblicità al mondo – si direbbe che le destre abbiano compreso con molta più scaltrezza la lezione di Bernbach (sì, il comunicatore che citavo all’inizio era lui, ed era un grande uomo dichiaratamente di sinistra e uno dei più rivoluzionari e importanti comunicatori pubblicitari nella storia contemporanea); compresa e negata allo stesso tempo, a dire il vero, perché più che al «lato chiaro della forza» e cioè ai comunicatori di professione, agli artigiani, ai fautori di quell’arte-applicata che si chiama linguaggio pubblicitario (e che è il contrario esatto della propaganda, ma questo punto merita di essere trattato al di fuori di questo post già troppo esteso), scelsero di rivolgersi al marketing, vale a dire a alla falange armata che si è sempre presentata come «scientifica» e che ha sempre ostentato verità statistiche e dati sedimentati, laddove i pubblicitari a cui faceva riferimento Bernbach usavano qualità umane, creatività e complicità con il lettore, evitando sempre di considerarlo come un «consumatore».

Politica e comunicazione: un soggetto della campagna targata Droga5 per Hillary Clinton.

In fin dei conti, si potrebbe argomentare con un po’ di cinismo, la profezia di Bill Bernbach si è avverata, ma nella sua accezione più negativa: la politica e la comunicazione non si sono mai davvero incontrate in modo stabile, consapevole e progettato, piuttosto i comunicatori hanno lasciato appunto che «se ne occupassero altri» e questi altri sono in larga parte «tecnici» del marketing che Berbach per tutta la vita ha avversato con forza: gli uomini che coniarono i concetti di «target» e «consumatori» e che ancora oggi vendono sui social «strategie per trasformare un lettore in un cliente». Sui motivi di questa relazione complicata pesano le colpe sia dello snobismo della politica che, come abbiamo detto, non vedeva istintivamente di buon occhio l’idea di essere raccontata nel mondo da uomini che si sporcano le mani ogni giorno con il racconto delle merci, sia quelle dello snobismo delle agenzie: in molti casi i comunicatori hanno considerato e considerano ancora un tabù occuparsi di tematiche politiche, perché il rischio è di venire meno alla deontologia di neutralità e imparzialità verso le cause da comunicare.

Politica e comunicazione: un illuminante intervento di Giuseppe Mazza su pubblicità e pregiudizio.


LO STORYTELLING POLITICO NELLA VISIONE DEL MARKETING 

Vediamo un esempio pratico, in modo da intendersi meglio. Tra le innumerevoli «strategie» del marketing, oggi trova grande consenso e condivisione quella del marketing narrativo, che ha la sua ragion d’essere nell’utilizzo degli archetipi junghiani i quali, essendo per così dire inscritti in ognuno di noi, dovrebbero garantire grande capacità di far presa sulle persone. Perciò usiamolo, il marketing narrativo, per fare un paio di ragionamenti: ricorriamo come da copione alla struttura delle storie e agli archetipi per caratterizzare un prodotto, una causa, o un politico. Scegliamo un politico. Cominciamo a costruire una storia intorno a lui, decidendo gli elementi necessari. Scegliamo per prima cosa che tipo di eroe egli dovrà essere. In politica, da anni, ha molta presa l’archetipo dell’«Eroe riluttante». Per esempio:

0. ARCHETIPO DI EROE: «Io ho già ottenuto nella vita tutto quello che desideravo. Non mi interessa la carriera politica. Lo faccio solo per il bene altrui, perché vedo un Paese che va verso lo sfacelo. Mi sacrifico per il bene di tutti».

1. BACKGROUND: Bene, abbiamo un tipo di eroe molto affascinante. Per renderlo più credibile occorre un background altrettanto interessante. Per esempio: «Non sono un politico scaldapoltrone, ma un imprenditore vero, che si è fatto da solo, partendo da zero, un uomo del fare. In questo sono diverso e unico. In questo sta la mia forza».

2. DIFETTO: Ora ci manca un difetto caratterizzante (è controintuitivo, ma serve per dare l’idea di essere più veri e trasparenti). Per esempio: «Sì, le donne sono una mia debolezza, non l’ho mai nascosto e non lo nascondo, come invece fanno molti politici».

3. AVVERSARIO: Aggiungiamo un avversario concreto o astratto: senza un nemico, non esiste un eroe. Per esempio: «I comunisti hanno trasformato l’Italia in un luogo ingovernabile e arretrato rispetto al mondo. Io lo riporterò nella contemporaneità».

4. POLARIZZAZIONE: La capacità di polarizzare. Significa trasformare le persone in fan o haters facendo leva soprattutto sulle emozioni e gli istinti non razionali, spesso su argomenti secondari, ma non sempre, in modo da oltrepassare l’uomo (o il prodotto) e diventare un ideale in cui credere. Per esempio: «I magistrati devono rientrare nei ranghi, e smetterla di sostituirsi ai politici». O più beceramente: «Meglio donnaiolo, che gay».

Avrete capito di chi stiamo parlando: una persona che ricorrendo ampiamente al marketing – e sostituendolo radicalmente, si direbbe, a un programma politico vero e proprio – ci ha governati per 20 anni.

Ora potete divertirvi a riempire da soli le caselle del Movimento 5Stelle, che si è presentato sempre come un movimento «puro», proveniente «dal basso» e che invece ha inequivocabilmente usato le stesse tecniche di marketing che ho appena descritto (in molti casi senza che gli attivisti ne fossero consapevoli). Del resto la Casaleggio quello fa: marketing. E quello ha venduto per prima cosa agli attivisti: un piano di marketing. Quale archetipo di eroe è Grillo? Qual è il background di DiBattista? Quale il nemico del Movimento 5S? Quali i difetti dichiarati e quali i temi polarizzanti? Tutto abbastanza chiaro, no? Adesso pensate alla Lega. E pensate a Trump. E pensate pure a Renzi, se volete.

Politica e comunicazione: la discesa in campo di Berlusconi: appaiono subito molti degli elementi indicati.

NUOVE OMBRE E NUOVE CRIPTO-DITTATURE?

Eccoci al punto finale di questo ragionamento. Un articolo di qualche tempo fa poneva una questione interessante (giungendo a esiti che non condivido). Noi, diceva, continuiamo ad aspettarci dalle dittature un linguaggio che appartiene al Novecento: istrionismo, gigantografie, coercizioni, ordini perentori che «impediscano» determinate libertà. Il punto, scrive l’autore, è che nel mondo attuale le dittature potrebbero configurarsi attraverso altri linguaggi, decisamente più seducenti, subdoli e molto meno facili da riconoscere. Dopo queste interessantissime domande, a mio parere si perde un po’, tirando in ballo l’arma di un generico utilizzo strumentale dei media e saltando troppo in fretta a conclusioni che non reputo molto a fuoco. Io credo che alla luce di quanto abbiamo visto sia possibile circoscrivere questi nuovi linguaggi post-dittatoriali con più lucidità e precisione. È facilmente ipotizzabile, per esempio, che una forma dittatoriale contemporanea potrebbe essere presentata sotto l’archetipo di un eroismo catalizzatore, che fornisce vantaggi sociali o sgravi fiscali per spingere gran parte della popolazione a compiere un determinato comportamento – secondo la rodata formula della «Call to action» – invece di emettere ingenui e riconoscibilissimi ordini coercitivi, oppure fabbricare nemici che mettano d’accordo tutti – «È colpa dell’Europa», «È colpa dell’Immigrazione», «È colpa della Casta» – al fine di incoraggiare un’azione piuttosto che un’altra, e fare ricorso alla polarizzazione su determinate tematiche per creare maggioranze dal nulla quando necessario – «La meningite? Colpa degli immigrati», «I giornali dicono solo menzogne, occorre una giuria popolare per giudicarne la veridicità. Siete d’accordo?». In estrema sintesi, si potrebbe dire, il rischio è che il linguaggio attraverso cui una post-dittatura si configura sia quello proprio del marketing, in modo da continuare a vestire di democrazia intenti che non è per nulla scontato siano democratici. Non è dietrologia ma, come già si vede intorno ovunque, politica contemporanea.

Politica e comunicazione: un uomo di marketing spiega la tecnica «persuasiva» della Call to action.

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